Da quando ho iniziato la mia avventura nel mondo dell’editoria ho scoperto molte cose interessanti che da profano non sapevo.
Nel modello più tradizionale l’autore scrive, la casa editrice decide se sponsorizzare il dattiloscritto, lo sottopone a editing e correzione di bozze, ne stampa qualche centinaio di copie e lo consegna ai distributori, che ne sparpagliano il 50% delle copie per la nazione e tengono il resto a magazzino. L’autore, se ha la fortuna di essere considerato all’altezza dall’editore, verrà pagato dal 4 all’8% del prezzo di copertina per ogni copia, 18 mesi dopo la vendita. (Al lordo di IVA e tasse).
Nel caso in cui l’autore sia un nome di grande fama, la tiratura del libro sarà di migliaia di copie (invece che centinaia) e l’autore stesso riceverà dall’editore un anticipo sui diritti, che verrà sottratto dal conteggio finale del dovuto. In tutti gli altri casi, l’autore scriverà evidentemente per la gloria ma a ben vedere per ben poca gloria, visto che la maggior parte dello stampato andrà nelle mani di amici e parenti o dei pochi fan sfegatati (le case editrici non compiono nessuna effettiva opera di promozione).
In questo sistema, evidentemente obsoleto, vi sono moltissimi problemi irrisolti da sempre: copie mandate al macero perché invendute (visto che le librerie non hanno spazio per tenere sullo scaffale libri “inutili” per più di 15gg), indisponibilità del libro nella maggior parte dei punti vendita, percentuali bassissime pagate all’autore, guadagni marginali per le case editrici, distributori che trattengono la maggior parte del prezzo di copertina e che sembrano, a detta di molti, agire come una piccola mafia. Inoltre, elemento determinante dalla mia prospettiva, il diritto di sfruttamento commerciale dell’opera rimane della casa editrice per un periodo variabile di 10-15 anni, senza che il creatore abbia il diritto di decidere se ristampare, modificare o ritirare il testo prima di quella scadenza.
Da trentottenne nativo digitale non mi stupisco che il settore sia in crisi: i tempi stanno cambiando e il valore delle informazioni è molto cresciuto. In più, si sta completando la disintermediazione di ogni tipo di servizio (viaggi, affitti, investimenti…).
E’ vero, l’Italia è uno degli ultimi paesi del mondo nella classifica dei lettori – e pare che vi siano più persone desiderose di lasciare segno su carta che di leggere le opere altrui – ma non bisogna confondere l’idea che l’editoria tradizionale sia morta con il fatto che scrivere e pubblicare non serva a nulla! Non è così. Negli ultimi due anni, scegliendo una strada completamente diversa, ho visto spedire migliaia e migliaia di libri e ricevuto un’immensa soddisfazione per le mie 11 opere pubblicate!
Scegliendo la strada del Self Publishing Professionale, i risultati che si ottengono sono completamente differenti, perché lo sono i presupposti. L’autore e il suo team editoriale si devono assumere la responsabilità dell’impresa, producendo un’opera di qualità per ottenere il 70% di margine sul prezzo di copertina dell’opera, i diritti di sfruttamento rimangono del creatore, la libertà di gestire ogni elemento della filiera è in mano propria, assieme alla flessibilità di cambiare idea ogni volta che si desidera.
Stringere fra le proprie mani il proprio libro è emozionante. Ma lo è ancor di più sapere che il mercato ci corrisponde il giusto valore, che ci permetterà di continuare a scrivere ancora e, con un pizzico di lavoro in più, di vivere al 100% di quest’arte.